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La fotografia di moda

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La fotografia di moda, uno dei grandi Generi fotografici, ha avuto dei grandi Maestri, come Cecil Beaton, che fu, negli anni Trenta, per venticinque anni, uno dei più affermati fotografi di moda del mondo, lavorando per la rivista “Vogue”, e creando  uno dei principali stili di ritratto; Irving Penn che subentrò negli anni Quaranta, per il quale hanno posato grandi personalità del secolo scorso come: Truman Capote, Salvador Dali, Christian Dior, T.S. Eliot, Duke Ellington, Grace Kelly, Rudolf Nureyev, Al Pacino, Edith Piaf, Pablo Picasso e Harold Pinter, tanto per citare alcune celebrità. O come il mitico Richard Avedon (New York, 15 maggio 1923 – San Antonio, 1º ottobre 2004) che lavorò in vari campi, dal reportage alla moda, dagli orfani di Danang durante la guerra del Vietnam ai ritratti di Marilyn Monroe, Brigitte Bardot o Sophia Loren; rimarrà celebre per i suoi innumerevoli ritratti in bianco e nero. Nel 1944 lavorò per il gruppo della rivista di moda “Harper’s Bazar”, nel quale resterà dodici anni, innovando la fotografia di moda, inventando la dimensione creativa del contesto, collocando le modelle, molto spesso irrigidite nella posa, per strada o in locali notturni. Avedon lavorò per “Vogue”, “Life”, ma anche stilisti italiani come Gianni Versace, o Calvin Klein e Clairol.

Ma in tutti i generi fotografici esiste una dinamica relazione tra impegno etico della professione e dimensione estetica. Se per pura ipotesi scientifica, vogliamo considerare il fotoreportage il livello di massimo impegno sociale, ideologico e politico – penso alla famosa foto del miliziano ucciso e fotografato nell’attimo della caduta (guerra civile spagnola 1936) – laddove i fotografi veramente rischiavano la vita, non potremmo che collocare sul versante opposto, tranquillo leggero e rassegnatamente consumistico, la fotografia di moda. Se un fotoreporter è, a mio parere, forse “il fotografo” per eccellenza, la vera essenza dell’essere fotografo, non credo che si possa o si debba, tuttavia, suggerire una gerarchia dei “generi” fotografici, tutti egualmente nobili, tutti difficili, come è difficile dare un senso ad una fotografia, fuori dal contesto per la quale è nata, per la quale è stata commissionata o immaginata, o come capita spesso ai fotoreporter, rubata. Se la vera qualità di un fotoreporter è l’essere nel posto giusto al momento giusto, la strada è il luogo della straordinaria unicità del quotidiano come ci ha insegnato Cartier Bresson.

Ma un lavoro “politico”, nel senso nobile ed umile ad un tempo, di chi svolge la propria professione con onestà intellettuale e pone tra se stesso ed il mondo il proprio filtro critico, sia per la scelta dei temi che per la cura dei soggetti. Il fotografo di moda ha, tra i tanti altri meriti, tutto il valore di chi usa la propria cultura e, ancora, le proprie ideologie, per filtrare il proprio lavoro e attraverso di esso la propria visione del mondo. Etica ed estetica trovano una dimensione dialettica nella foto di moda che, a mio parere viene a svolgere un ruolo di promozione della merce (diremmo con espressione veteromarxista), oppure più nobilmente di educazione al gusto estetico della qualità formale: composizione, luci, creatività della location, e così via. Dunque credo che etica ed estetica debbano viaggiare integrarsi rendendo la dimensione estetica parte del processo di consapevolezza di chi lavora nella moda; più elevata è la qualità estetica del proprio operare, maggiormente consapevole risulterà la dimensione etica.

Personalmente non amo per niente le attività creative pensate prevalentemente “perché se ne parli”.

Ci sono poi espressioni border line, come ad esempio il calendario realizzato da Toscani, fotografo di moda e pubblicitario, con 12 foto del triangolo pubico, che solo la storia potrà giudicare.

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